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Materia e progetto
Magdalena Fernández Arriaga tende a operare sui luoghi elementari del percepire, in un gioco di simulazione della realtá che l'arte plastica del Novecento, almeno nei suoi aspetti più innovativi, sembra perseguire, elaborando macchine di un laboratorio di stimolazione sensoriali. L'opera realizzata é una macchina abilitata a produrre reazioni e intelligenza: nulla di aneddotico, che appartenga alla congiuntura personale o contingente dell'autore in quanto il nodo espressivo e negli elementi che modularmente delimitano il volume, nel diverso assemblaggio che conoscono.
Il luogo del contendere é quello di una riscattata espressività di materiali di origine industriale come il poliestere e il metacrilato, altrimenti dotati di scarsa attrazione, della loro leggibilità diretta, usati come soggetti dell'opera e non come strumenti per rappresentare.
Sono allora protagonisti in concorrenza categorie come standard e artificiale, esatto ma anche indefinito -e in questo si pone la chiave inmediata di lettura del lavoro- perchè alla perentorità e alla asetticità delle figure di base si contrappone un modo di comporre che rende la costanza contradditoria e ambigua.
L'opera si compone di rigidità e elasticità, di elementi seriali ma anche di legami, nodi, intrecci, piegature che costituiscono la nervatura portante dell'artefatto, unendo l'esattezza asettica delle parti alla manipolazione costruttiva più semplice, alle soglie della primitività.
Indipendentemente dalle loro dimensioni, i lavori invadono e intervengono in modo neuralgico nello spazio visivo dello spettatore, ma questa intromissione, pure perentoria e inequivoca, mantiene un carattere dio estrema eleganza e leggerezza, senza brutali ostensioni, anzi trovando la propia fisionomia all'interno di una appariscenza di ridotto impatto.
Perchè l'esperienza possa essere offerta come convincente occorre eliminare quanto può costituire un disturbo; el ventaglio dei percetti irritanti, capaci di distogliere l'attenzione, é particolarmente ampio, in un agire comunicativo caratterizzato dalla confusione e dalla sovrapposizione, dalla sollecitazione; una interferenza continua di messaggi provvisori, deperibili, pertanto anche approssimativi dal punto di vista della fortuna.
Ma l'oggetto artistico, a dispetto e in concorrenza con quanto lo circonda, ha la pretesa della esemplarità e della durata: così giocare sulla riduzione degli elementi agenti, sulla loro evidenza, costituisce una scelta etica di stile di vita, oltre a essere funzionale per la sua leggibilità.
Questo contesto indirizza la scelta operativa, determina la selezione dei materiali da adottare di natura anonima non provenienti dall'universo della bottega d'artigiano, come limita la scelta delle figure che appartengono al mondo della geometrìa certamente, ma di quella concreta delle cose non di quella disegnata da una filosofia astratta. Poi, nella sua concreta realizzazione interviene l'abilità della manifattura che non ammete imperfezioni o approssimazioni: ma questo frangente, di importanza non secondaria, costituisce un luogo paradossale del fare artistico, una concorrenza fra l'idea e la sua traduzione con cui occorre fare i conti, divenuta oggi di neuralgica importanza.
Si coniuga in questo modo, e mi sembra uno dei dati più interessanti della ricerca di Fernández Arriaga, un rispetto per la fisicità, la natura specifica degli elementi che costituiscono l'opera e nello stesso tempo la qualità del progetto mentale, l'idea di figura che costituisce l'idea di partenza: da questo punto di vista e sufficiente osservare in parallelo tanto i disegni preparatori, gli shizzi, quanto la realizzazioni vere e propie, dove la parte fisica e la stimolazione sensoriale acquistano il loro ruolo determinante e chiarificatore.
Il disegno in altri termini si pone in una fase intermedia fra una progettazione che nasce partendo dalla fattibilità del progetto, la sua consueta messa a punto.
Fra lo schizzo e l'opera realizzata oltretutto interviene come determinante la scala dimensionale scelta per il singolo intervento: Fernández realizza infatti tanto opere "da toccare", a livello della manipolazione oggettuale, una operazione che può modificare la fisionomia dell'artefatto, quanto opere "da percorrere", di valore ambientale, in cui é l'uomo in movimento a giocare con le sue facoltà, in un percorso che da mentale si é fatto fisico: e siamo agli opposti di un processo esplorativo della realtà.
In una fase per così dire intermedia del programma espressivo, possiamo registrare opere "da vedere", dove a partire da una precedente organizzazione regolare della struttura é già intervenuto un effetto disturbante, che ha modificato la fisionomia del tutto.
L'oggetto realizzato allora si propone come luogo dell'accadimento fisico dei processi materiali e percettivi: in conflitto ambiguità e costanza, previsione e sorpresa: ma questo avviene senza alcuna contraffazione, senza cioè che entri in gioco la variable illustrativa, rappresentativa che l'opera plastica ha fra le sue facoltà espressive.
Alberto Veca
Milano, Abril 1997
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