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Non so bene che cosa sia l'arte ma son sicuro, nella mia personale esperienza, di aver conosciuto degli artisti; pochi, benché abbondino le persone che vengon chiamate cosí. Sospetto -e non son né l'unico né il primo- che la parola "arte" abbia avuto un tale spettro di significati, nel corso della storia umana, da risultare ormai sfocata e molle, senza presa sicura, se non quella d'essersi fatta una speciale merce per chi disinvoltamente la tratta, nel limitato presente storico dei paesi sviluppati. Mi parrebbe piú chiaro, se si parlasse di artefatti: dell'immenso parco degli oggetti fabbricati dall'uomo, dall'industria della specie, dalla manualità e poi dall'attività macchinale che ha segnato la nostra presenza sulla terra. In gradi variabilissimi oscillanti tra bisogni e sogni, tra espressione e uso, artefatti potrebbero definirsi tutti gli oggetti realizzati dall'uomo ad arte e con arte: ad arte, cioè con fini, obiettivi, progetti specifici, quelli che ne indirizzano le prestazioni; con arte, cioè con sapienza, cognizione, esperienza fabbricativa, quella che ne configura la materia tramite forme. In questa cornnice generalissima ma imprescindibile per intendersi, si può ritagliare una instabile, precaria nozione di "arti contemporanee" (nel senso di: pratiche responsabili di artefatti i più diversi), coerente con la parte del globo a cui apparteniamo, per tanti versi relativa ma sin troppo invasiva, quanto al ruolo che si attribuisce, di "centro" del mondo. Per un verso, le arti contemporanee paion indirizzate alla produzione di "cose" utili ma non altrettanto necessarie in sé (se non fosse per le esigenze stranianti dello sviluppo), che son attributo di progettisti di varia natura, ingegneri, architetti, disegnatori industriali, grafici e via elencando; dall'altro, sembran mirate all'oggetto, all'artefatto inutile quanto necessario, appannaggio di quantti vorremmo chiamare ancora artisti. Questa forma di "artefazione" è la sola che (riprendendo le parole di un grande del novecento) può rendere visibile l'invisibile, come le scritture han reso immagine la parola, e ci consente dunque un vedere nuovo, di rinnovare la vista in quanto strumento dell'intelletto, di comprensione dell'ambiente e della "realtà". Questi artefatti inutili servono, dunque, anzi ci necessitano: hanno la funzione di farci conoscere e apprendere il mondo, secondo visuali inedite e sguardi diversi, estranei alle logiche dell'utile. In altre parole, si tratta di "opere" che operano cognitivamente, che agiscono trafiggendo le apparenze date, disvelando trame che intessono la realtà, nascoste ai nostri occhi distratti dall'abitudine e dalla consuetudine percettiva, dagli schermi delle cornici interpretative che assumiamo come veridici. Il complesso lavoro di Magdalena Fernández appartiene a pieno diritto a questo campo di artefazione.
Sergio Polano
Venezia, Septiembre 2002
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